A 19 anni ho mollato la mia squadra di pallavolo giusto una stagione prima che la nazionale vincesse il mondiale,iniziando un ciclo che avrebbe trasformato questo sport in un business gigantesco e dorato.
Ho mollato l’Italia in cima al mondo, quella temuta, riverita, imitata, invidiata. L'ho fatto per suonare in un gruppo rock. Ad alcuni miei coetanei inglesi cercavo di spiegare cosa significasse essere in una band nel mio paese...io avevo finalmente l'unica lingua che mi sembrasse davvero sincera, di più, avevo trovato il modo, un modo quasi civile, di rapportarmi con il resto del mondo senza dover fingere di essere qualcun altro o qualcos'altro, anzi ostentando i miei limiti e i miei difetti come parte nobile del mio carattere.
Chiuque sia stato adolescente(perchè c'è chi geneticamente modificato salta quella fase a pié pari) si è ammalato della stessa sindrome. E' una malattia molto brutta e non mi è passata.
Da vigliacco quale sono non ho mai cercato di curarmi e sono anche stato disposto ad essere un reietto, un fallito, piuttosto che diventare sordo e muto. Avete presente quanta fatica deve fare un musicista italiano,rispetto ad uno straniero,per conquistare quella credibilità che gli permette d'essere preso sul serio?
Il paternalismo con il quale siamo giudicati dagli stessi critici di casa nostra ci schiaccia verso il basso invece che alimentare le energie e incoraggiarle ad osare in nuovi territori.
Così anche noi ci crediamo poco e viviamo una vita indifesa. Per anni ho incontrato gente di talento convinta da altri di non valere niente.
L’amore per la polemica pura,per l’uso della parola stessa come valore, spesso ha causato distorsione nell’analisi di certi fenomeni sociali che avrebbero avuto bisogno di una spinta propulsiva, almeno sul nascere, non di una critica distruttiva.
Prendendo parte al film di Guido Chiesa 'Lavorare lentamente', che si sviluppa intorno alle drammatiche vicende che portarono alla chiusura di Radio Alice, a Bologna verso la fine degli anni 70, mi sono trovato riproiettato in un periodo dove anche i musicisti venivano sottoposti, ad esempio, a “processi” pubblici durante i loro concerti se non dimostravano continuamente una coerenza perfetta con l’immagine che il pubblico si era fatto di loro.
Ho vissuto un flash back illuminante, che mi ha spinto a trovare analogie con il periodo che stiamo vivendo.
Persi gli slanci rivoluzionari, la vitalità, la freschezza e l’innocenza politica di quel periodo siamo stati capaci di mantenere e rigenerare solo la capacità critica, tutta tesa a smontare le idee prima ancora di averle realizzate. Distruggere il niente per non rischiare di fallire di nuovo nella creazione di qualcosa.
Poi le cose sono cambiate. Sono fortunato. Le ho viste cambiare al rallentatore proprio davanti ai miei occhi. Credo sia un’esperienza unica, di quelle che si possono vivere solo in situazioni imperfette e da imperfetti. Centinaia di concerti, non solo i miei, intendiamoci, ma di tutta una generazione di musicisti, hanno messo in contatto decine di migliaia di persone dando origine ad una scena vastissima,molto eterogenea e vitale, impensabile anche solo cinque anni fa.
In procinto di partire per Cannes per suonare al Midem, ho pensato a cosa avrei risposto ai giornalisti stranieri che mi avessero domandato cosa significava per me, e come era e cosa provavo a suonare rock in Italia.
Essere italiano in un periodo di sconvolgimento cuturale violento anche se ancora grottescamente sotterraneo, fare parte di questo cambiamento e , insieme a tutti voi, esserne causa, è infinitamente più eccitante che appartenere all’ennesimo gruppo rock di tendenza,americano o inglese che sia. Almeno per un adulto.
E’ davvero paradossale, ma rimaniamo gli unici a non capire che quello che sta succedendo da noi è unico. Con il crollo di tutti gli standard che limitavano il modo di analizzare la musica e i progetti, come la radiofonicità di un singolo, la presenza dei singoli stessi in un album, l’efficacia di un video e i passaggi sui network, in generale il mercato sta vivendo una delle crisi più profonde di sempre, ma i musicisti, per contro, possono approfittarne per vivere un momento di libertà estrema. Proprio perché non ci sono più pressioni interiori a realizzare prodotti che abbiano una valenza “commerciale”, perché niente è più commerciale, perché non si vede più niente, stanno uscendo un sacco di lavori puri. Bei dischi.
E’ un momento di grande libertà artistica, il periodo di interregno fra la morte di un sistema e la creazione del successivo.Dobbiamo stare attenti a non perdere questa occasione, quest’attimo, per fare un salto di qualità definitivo.
A livello artistico ci sono delle realtà, dei progetti, che si riferiscono ad un pubblico vastissimo, che lo rappresentano. E’ un precedente importante.
Negli ultimi anni ho avuto numerosi contatti con musicisti stranieri di un certo valore.
Quando abbiamo fatto il tour italiano con i Mercury Rev loro si sono davvero meravigliati di trovarsi davanti una platea enorme e preparata. E la loro meraviglia è aumentata nello scoprire il livello di professionalità della gente che lavorava alla realizzazione del tour. Quando hanno saputo che i gruppi della nostra area fanno 100/150 date in un anno nella stessa nazione hanno strabuzzato gli occhi! Ho passato le ultime due estati negli USA girando in lungo e in largo mentre seguivo le peripezie del mio amico Greg Dulli, l’ex leader degli Afghan Twigs. Ho fatto ascoltare musica italiana, non solo gli Afterhours, a molti musicisti e addetti ai lavori americani, stupendone la maggior parte.
I pregiudizi artistici su di noi stanno scomparendo. Rimangono, forse ancora in parte giustificati,quelli professionali.
Io e Greg gireremo nei prossimi giorni l’Italia insieme con i nostri due gruppi, i Twilight Singers e gli Afterhours.Ancora una volta un’occasione per dimostrare che il confronto non è solo possibile ma è divertente. In America ho perso tutti i miei complessi d’inferiorità.Ho visto band da noi molto conosciute suonare davanti a 50 persone. Ho capito che se le strutture lì sono ancora anni luce avanti, soprattutto grazie alla loro solidissima tradizione, le difficoltà per un musicista non sono minori.
Certo i “vertici” raggiunti nei paesi anglosassoni fanno ancora impressione, ma rispetto al resto dell’Europa la nostra scena è fra le più interessanti in assoluto.
Il bacino di utenza è di 60 milioni di persone.
Nessuno ha la nostra varietà di stili e di generi.Nessuno la nostra qualità creativa. Nessuno ha il nostro futuro.
Siamo gli unici a non crederci.
Manuel Agnelli